CRIMINOLOGIA e DIRITTO

SERIAL KILLER: L’imprecisato numero di vittime del Mostro di Nerola

NerolaDifficile ricostruire la vicenda di Ernesto Picchioni più noto come il “mostro di Nerola”, perché la sua attività risulta contrassegnata da tutta una serie di punti oscuri e addirittura il numero degli omicidi attribuitigli non è certo. Basti ricordare che venne processato e condannato per aver ucciso otto persone, ma aleggiava il sospetto che ne avesse effettivamente uccise il doppio. Il numero non è mai stato possibile verificarlo ed ancora oggi costituisce uno dei misteri più inquietanti di questo singolare serial killer.
Nato nel 1900 ad Ascrea in provincia di Rieti, si trasferì a Nerola in provincia di Roma (a soli 40 km da Rieti) nel 1944 in una casa fatiscente, al km 47 della SS4 Via Salaria, con la sua famiglia composta dalla moglie, quattro figli e l’anziana madre. In breve tempo l’uomo si fa conoscere all’interno della comunità per il suo brutto carattere, per la facilità con cui innesca animate discussioni con suoi concittadini e per il modo in cui minaccia chiunque, anche in modo violento. L’aggressività del Picchioni lo porta nel 1946 a scontare sei mesi di galera per aver aggredito, colpendolo con una pietra alla testa, il proprietario del fondo in cui abita abusivamente.

Qualche anno prima, però, sulla Salaria iniziano a verificarsi misteriose sparizioni. La prima segnalata fu quella di Pietro Monni, avvocato romano, che scompare senza lasciare alcuna traccia fra il 5 e il 6 luglio del 1944, mentre percorreva in bicicletta la via Salaria in direzione di Ponterotto. Solo tre anni dopo, nel maggio del 1947, è Alessandro Daddi, dipendente del Ministero della Difesa partito da Roma alla volta di Contigliano, a scomparire sempre sulla strada consolare. Questa volta però, agli inquirenti viene fornita una traccia interessante: il Daddi era partito in sella ad una bicicletta elettrica,  modello “cucciolo”, una novità all’epoca e non tutti la possedevano.
Fu proprio questo particolare a determinare una svolta delle indagini ed è proprio l’omicida a fornire l’aiuto necessario ai Carabinieri di Nerola.

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Nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa del Daddi, il Picchioni viene visto scorrazzare per il paese con una bicicletta elettrica identica a quella descritta ai Carabinieri di Nerola di proprietà dell’uomo scomparso. Il Maresciallo della Stazione locale decide di non fermare il Picchioni, già noto per i suoi atteggiamenti scontrosi, e decide invece di recarsi presso l’abitazione dell’uomo, in sua assenza, e mettere alle strette la moglie, Angela Lucarelli, accusando lei di aver ucciso l’uomo scomparso il 3 maggio. La donna cede quasi immediatamente raccontando al militare una storia inquietante. Suo marito ha, infatti, ucciso più volte e l’ha sempre minacciata di morte se solo avesse parlato.  Subito dopo inizia a raccontare il modus operandi del marito.
Tutte le persone che finivano nella trappola di Ernesto Picchioni erano sconosciute, casualmente entrati in contatto con il loro carnefice. Tutte vennero uccise a casa sua dove si erano fermate e quasi sempre depredate dei loro beni. Per costringere i passanti in bicicletta fermarsi aveva ideato una trappola perfetta: cospargeva, infatti, di chiodi la strada nei pressi di casa sua. Quando gli sfortunati viandanti sostavano dell’aia della cascina, il Picchioni si rendeva immediatamente disponibile a correre in loro aiuto per accomodare i loro mezzi incidentati, salvo poi ucciderli con una fucilata e con una grossa chiave inglese.
Ernesto Picchioni viene quindi arrestato per l’omicidio di Alessandro Daddi ma dalle perquisizioni presso il suo podere verrà rinvenuto anche il corpo di Pietro Monni, identificato dalla moglie per la giacca ormai sporca di sangue indossata dal cadavere, permettendo di accomunare i due uomini scomparsi ad un tragico epilogo comune. A seguito delle dichiarazioni della moglie e dello stesso Picchioni, si venne a conoscenza di altre vittime ed alcuni cadaveri furono rinvenuti in luoghi diversi, altri non si rinvennero mai ed in qualche caso le vittime restarono per sempre senza un nome.

Dal punto di vista della criminologia, di certo Picchioni era un non omicida seriale allineato al mondus operandi tipico di questi criminali. L’iter era oramai fisso: la vittima, del tutto ignara, giungeva al centro della trappola preparata, il criminale la colpiva senza difficoltà e quindi ne sottraeva gli averi: la bicicletta, i soldi e gli altri effetti di valore. Quindi il cadavere era sotterrato nell’orto ho gettato in una discarica.
Anche se in modo rozzo, il Picchioni cercava di far sparire ogni possibile traccia del suo operato comportandosi come un tipico Serial Killer organizzato, anche se oggettivamente non fu molto attento nell’occultamento dei cadaveri.
Di certo la fase della cattura della vittima risulta condotta secondo una tecnica che i criminologi definiscono “del ragno“. L’omicida, infatti, utilizza una espediente al fine di indurre la vittima ad entrare nel suo territorio (quasi sempre la sua casa, e quindi in un luogo per lui sicuro) uccidendola con pochi rischi. La metafora della tela del ragno è particolarmente indicativa per esprimere con chiarezza la tipologia attuata dall’omicida seriale che intende colpire alla cieca, avendo come fine l’appropriazione dei beni appartenuti dalla vittima. Si tratta di una particolarità del modus operandi tipica della donna Serial Killer che, nella maggioranza dei casi, è soprattutto interessata ai beni della vittima, mentre è del tutto assente ogni altro interesse legato, ad esempio, al cadavere.
È un fatto questo che contraddistinse anche l’atteggiamento del mostro di Nerola il quale non si relazionava mai ai corpi delle vittime con intenti di carattere feticistico, determinati da parafilie di vario tipo.

Il terrificante progetto di Ernesto Picchiomi continuò per tre anni, dal 1944 al 1947. In quel periodo ebbe modo di raccogliere quella manciata di beni che gli consentiva di trascorrere qualche giorno di bagordi in osteria tra le carte ed il vino, interrompendo momentaneamente la sua disperata esistenza di disoccupato.
Al mostro di Nerola non venne riconosciuta nessuna attenuante per infermità mentale o altre patologie che potessero condizionare la sentenza, e così il Tribunale lo condannò a due ergastoli. In prigione però trascorse circa vent’anni perchè nel 1967 un infarto se lo portò via da questa vita.

Pubblicato da Roberto Loizzo

Avvocato e Criminologo Forense. Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bari “A. Moro”, con tesi di laurea su “Le prove non disciplinate dalla legge: le prove scientifiche”; Criminologo Forense con titolo conseguito presso l’Università Carlo Cattaneo LIUC di Castellanza (VA), con tesi di laurea su “L’abuso sessuale infantile: giurisprudenza e mezzi di contrasto; Lavora nell’ambito penale occupandosi di criminalità e minori; Autore di articoli con analisi criminologica dei fatti di cronaca per le testate giornalistiche Barilive.it e CorrieredellePuglie.com; Docente presso Master Universitario di I e II livello in Criminologia Sociale alla PST BIC di Livorno per a.a. 2011 – 2012; Vice Presidente Associazione Culturale InformAEticaMente Vincitore di Principi Attivi 2012; Presidente Sezione Bari Associazione ONLUS "Sentieri delle Legalità" Per info, contattatemi all’indirizzo mail [email protected]