CRIMINOLOGIA e DIRITTO

SERIAL KILLER: L’inquietante caso di Gino Girolimoni

giornaleDal 1924 al 1925 Roma fu travolta dagli efferati delitti di uno spietato Serial Killer che uccise 6 bambine. I fatti determinarono una vera e propria psicosi, non solo tra la gente comune, ma anche tra le forze dell’ordine ed i governanti decisi a catturare il “Mostro di Roma”. Proprio questa caccia all’uomo comportò un grave errore di attribuzione che andò a minare l’allora Governo Mussolini ma, tralasciando ogni ideologia e concentrandoci sulla storia, non è sbagliato ritenere che l’uccisione a scopo di libidine su bambine di pochi anni è destinato a devastare l’equilibrio e la tolleranza di molti di noi e, quindi, potrebbe giustificare la psicosi che investì la capitale, colpita da un mostro capace di agire e sparire senza lasciare traccie.

La vicenda inizia il 31 marzo del 1924, nei giardini di Piazza Cavour. Emma Giacobini, di 4 anni ancora da compiere, giocava tranquillamente non lontano dalla madre. Ad un tratto la donna si accorse  che la figlia era scomparsa. Dopo un paio d’ore, una donna, che abitava alle falde del Monte Mario, fu attratta dalle urla disperate di una bambina: si recò sul posto dove trovò Emma parzialmente svestita, ferita e con un fazzoletto al collo. La donna fece appena in tempo a scoprire un uomo, dell’età di circa 45 anni, che si ricomponeva gli abiti e si allontanava velocemente. Lo stato della bambina non concesse alla donna di dedicare la necessaria attenzione all’uomo che riuscì a scappare. Il fatto, anche perché conclusosi senza particolari danni per la piccola, un po’ alla volta venne dimenticato dall’opinione pubblica e dai giornali. Si trattava, però, solo dell’inizio di un inferno.

L’inquietudine ritornò il 4 giugno 1924, quando Armanda Lonardi, di appena 2 anni, fu atterrata con violenza da uno sconosciuto in via Paola che cercò di allontanarsi con la piccola. La reazione della bambina fu inaspettata: urla e calci, costrinsero il mostro ad abbandonare la vittima, fuggendo prima di essere raggiunto da alcuni passanti. Anche se, ancora una volta, la vicenda si era conclusa senza gravi conseguenze, la tensione iniziò a salire ma, nonostante questo, la sera stessa, in via del Gonfalone, nel quartiere Trastevere, scomparve Bianca Carlieri, di 4 anni. Alcune frammentarie testimonianze indicavano il rapitore in un uomo non più giovane, alto, distinto e vestito elegantemente. Il mattino dopo, nei pressi di San Paolo fuori le Mura, venne ritrovato il cadavere di Bianca: era stata strozzata e sul suo corpicino nudo erano evidenti i segni di una violenza sessuale subita. L’omicidio ebbe grande ridondanza e non ci volle molto che questo caso fosse ricollegato ai due tentativi precedenti. La caccia al mostro fu così aperta: vennero arrestate molte persone ma nessuna pareva corrispondere al profilo che si stava ricercando.

Dopo qualche mese, il 25 novembre, venne rapita in Piazza San Pietro la piccola Rosina Pelli, di 4 anni. Il giorno dopo, il suo cadavere venne ritrovato nei pressi di una fornace a Monte Mario e, anche questa volta, presentava i segni di una violenza sessuale subita. Sulla scorta della testimonianze raccolte, la polizia aveva anche elaborato un identikit che ritraeva un uomo anziano, elegante, magro, con piccoli baffi bianchi e fu offerta una taglia di 10.000 lire alla popolazione, forse con l’intento di spingere alla maggiore cautela.

Per un lungo periodo, il mostro non colpì più: si tratta di un atteggiamento usuale, registrato nel modus operandi dei serial killer che possono anche lasciar passare anni tra un omicidio e l’altro.

Il 30 maggio del 1925, Elisa Berni, di 6 anni, mentre scendeva le scade di casa, in via Porta Castello, per dirigersi alla fontana per prendere l’acqua, scomparve senza lasciare traccia. Anche la piccola Elisa fu strangolata e stuprata: il suo cadavere venne ritrovato il giorno successivo sulle sponde del Tevere. Ripartì, quindi, una grande caccia all’uomo che ancora una volta portò a diversi sospettati e tra questi il sagrestano di Borgo Pio che divenne una vittima indiretta del mostro di Roma: infatti, non sopportando di essere additato e visto da tutti come un assassino di bambini, si tolse la vita impiccandosi.

Il Ministero degli Interni offrì un premio di 50.000 lire a chi avesse fornito informazioni utili per identificare il mostro ed al poliziotto che sarebbe riuscito ad arrestare l’assassino seriale fu promessa una promozione immediata.

Il 26 agosto del 1925 venne rapita Celeste Tagliaferri di 1 anno e mezzo. La piccola fu presa direttamente dalla sua abitazione, sita in via dei Corridori, per poi essere ritrovata qualche ora dopo, ancora in vita, sulla via Tuscolana, semisvestita, con una ferita al basso ventre ed un fazzoletto annodato al collo. La piccola, però, morì quasi subito a seguito della grave ferita.

Il 12 febbraio 1926 toccò ad Elvira Coletti, di 6 anni, che fu adescata da un uomo nei pressi di casa. Venne portata sul lungo Tevere e violentata, ma riuscì comunque a scappare ed a dare l’allarme ma le informazioni fornite agli inquirenti non furono comunque sufficienti per ricostruire il volto ed il profilo psicologico (all’epoca si parlava di comportamento depravato) del mostro che terrorizzava Roma.

Il 12 marzo 1927 Armanda Leonardi, sfuggita dal suo assassino nel 1924, venne rapita direttamente dalla sua abitazione e neppure l’arrivo tempestivo della madre riuscì a scongiurare l’azione nefasta. La donna descrisse il rapitore come un uomo elegante, vestito con un cappotto nero ed un ombrello. La bambina venne ritrovata il giorno successivo ai piedi dell’Aventino, strangolata e violentata. A differenza delle altre volte, però, le indagini portarono a qualche risultato. Giovanni Massacesi, proprietario di una trattoria, dichiarò di aver visto nel so locale una bambina che assomigliava ad Armanda, riconosciuta grazie alle foto sui giornali, e che si trovava in compagnia di un uomo che presentava una ferita sul collo. I dati raccolti permisero di elaborare un dettagliato identikit che presentava numerosi tratti in comune con un certo Gino Girolimoni.

La cultura del sospetto poteva iniziare ad esprimersi nel linguaggio della fisionomica prima, e quindi attraverso il riconoscimento nell’indiziato di tutte quelle anomalie comportamentali che riflettevano il modello del mostro elaborato sugli scarsi indizi e su uno schema fatto di suggestioni. Girolimoni era scapolo, non aveva ancora 40 anni, svolgeva un lavoro che gli rendeva bene, procurava clienti ad avvocati ed assicuratori, inoltre era molto sensibile al fascino femminile. Qualcuno disse di averlo visto regalare caramelle ad una bambina di 12 anni mentre l’accarezzava. Questi fu riconosciuto come l’uomo che il 12 marzo 1927 accompagnò la piccola Armanda nella trattoria. Ci fu anche un’altra testimonianza, lasciata dal un ex compagno di caserma, nella quale si affermò che il Girolimoni era stato visto violentare una bambina a Casarsa delle Delizie. Le prove erano abbastanza schiaccianti e così, da grande sospettato, Girolimoni divenne colpevole. Fu immediatamente arrestato e la polizia emanò un comunicato atto a tranquillizzare l’opinione pubblica.

La certezza, però, cadde dopo un anno. L’8 marzo 1928, Gino Girolimoni venne scarcerato perchè riconosciuto estraneo ai fatti. Pian piano la verità venne a galla. Si accertò, infatti, che la dodicenne a cui Girolimoni aveva dato una caramella era la servetta di una donna sposata che lui corteggiava da tempo della quale aveva preferito non parlarne, durante gli interrogatori, per non metterla in difficoltà. Anche il commilitone si rivelò essere un testimone falso (ma le ragioni di questo restano un mistero), ma la prova più importante fu che quando Armanda fu rapita ed uccisa, Girolimoni era fuori Roma.

Il grande accusato venne liberato ma la sua vita era rovinata per sempre. Fu costretto, infatti, a cambiare città e lavoro perché la sua credibilità era oramai minata ed il sospetto lo accompagnò sino al 1961 quando morì lasciando di sé l’immagine di un uomo che aveva subito una grande ingiustizia ed era stato vittima della necessità collettiva di rintracciare a tutti i costi un “mostro”. Con lo scoppio della guerra, tutto venne messo a tacere ma, dopo la guerra, il dossier “Mostro di Roma” venne riaperto e le indagini ripresero focalizzandosi su alcuni punti:

a) i rapimenti erano avvenuti nell’area di San Pietro;
b) l’aspetto del rapitore era sostanzialmente condiviso da molti testimoni: anziano, elegante, magro, con baffi;
c) secondo alcuni testimoni, l’uomo aveva un accento straniero.

Proprio quest’ultimo indizio indusse gli uomini dell’Interpol a riconsiderare alcuni elementi dell’indagine.:

1) vicino al corpo di Rosina Pelli si rinvenne un asciugamano con le iniziali R.L.;
2) vicino al corpo di Elsa Berni furono ritrovati dei frammenti di un catalogo di libri inglesi.

Tra le persone che ricevevano quel catalogo vi era un pastore inglese Ralph Lyonel Brydges, un nome che presentava concreti riferimenti con le iniziali dell’asciugamano. Secondo alcuni, dopo l’arresto di Girolimoni, costui si era trasferito a Capri con la moglie e fu fermato mentre cercava di adescare alcune ragazzine ma, non se ne conoscono le ragioni, venne liberato. Subito dopo si trasferì in Sudafrica dove sembra siano stati accertati crimini commessi con le stesse modalità dei delitti commessi a Roma.

Il mistero del Mostro di Roma non è mai stato svelato. Indubbiamente il Serial Killer che per 3 anni terrorizzò la capitale, rientrava nella categoria dei pedofili violenti (si tratta di persone che in passato hanno avuto violenze sessuali, andando a ripetere quelle violenze trasformandosi in aggressori). E’ stato osservato che tali criminali tendono ad indirizzarsi all’interno del proprio gruppo sociale e, in base agli elementi raccolti, è possibile affermare che l’omicida seriale romano possa rientrare nella categoria dei pedofili killer disorganizzati.

2 Risposte a “SERIAL KILLER: L’inquietante caso di Gino Girolimoni”

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