CRIMINOLOGIA e DIRITTO

SERIAL KILLER: Il landru del Tevere

tevere 01Venne battezzato il “Landru del Tevere” ma per l’anagrafe si chiamava Cesare Serviatti, un serial killer che senza dubbio aveva qualcosa in comune con il noto omicida francese, abile nell’avvicinare donne sole, sedurle e quindi ucciderle al fine di impossessarsi dei loro beni.
Nato a Roma nel 1875, Seviatti iniziò ad uccidere dopo i cinquant’anni, quindi una età che oggi viene considerata molto al di sopra dell’età media dei serial killer. Dalle statistiche, infatti, si evince che in genere il primo omicidio è compiuto prima dei trent’anni.

Dal 1928 al 1932 Serviatti uccise tre donne che aveva conosciuto attraverso annunci matrimoniali pubblicati su dei giornali. Le vittime erano scelte soprattutto in base alle loro disponibilità economiche e, si presume, dopo aver condotto un’analisi dei loro rapporti con amici e parenti per stabilire che la scomparsa delle donne non destasse sospetti immediati.

La prima donna a finire nelle spire di Serviatti fu Pasqua Bartolini Tiraboschi, adescata con la tecnica dell’annuncio. Fu uccisa a La Spezia dove il criminale gestì, per un breve periodo, una pensione. Venne uccisa nel sonno ed il suo cadavere ridotto a pezzi che furono gettati in un pozzo nero.

La seconda vittima, Bice Margarucci, venne uccisa a Roma. Ad attirare l’attenzione del Serviatti fu soprattutto la notevole somma di denaro che la donna aveva messo da parte lavorando negli Stati Uniti. Fu uccisa alla fine di ottobre del 1930, il suo corpo venne ridotto in pezzi che furono posti in tre sacchi e, quindi, gettati nel Tevere. I poveri resti vennero però ripescati dopo due o tre giorni.

L’ultima donna che cadde nella trappola del “Landru del Tevere”, Paolina Gorietti, rispose ad un annuncio apparso sul quotidiano “Il Messaggero” che recitava così <<Pensionato, 450 mensile, conoscerebbe signorina con mezzi, preferibilmente conoscenza scopo matrimonio>>. Di certo la donna ebbe modo di frequentare il Serviatti, poiché disse ad alcune amiche di essere oramai prossima a sposarsi con un “distinto signore”. Quel distinto signore, però, prima la strozzò e poi la tagliò in pezzi che suddivise in due valigie: una venne ritrovata nella stazione di Napoli e l’altra in quella di Roma,

Fin qui i crimini sembrerebbero conformarsi attorno ad un progetto finalizzato esclusivamente al guadagno, condotto con lucidità criminale e senza alcuna ricaduta sul piano pratico che, come è noto, costituisce l’incipit della maggioranza degli omicidi seriali. In realtà, osservando le accuse mosse al Serviatti, ci si rende conto che dietro la facciata dell’omicidio motivato da interessi materiali, vi era comunque un sostrato che rimanda al perverso ed oscuro mondo dei crimini seriali. Il suo modus operandi, infatti, presenta alcune particolarità che pongono il guadagno economico su un piano secondario rispetto ad altri interessi legati a varie devianze sessuali. Dopo il contatto determinato dall’annuncio matrimoniale, il criminale riusciva a portare le vittime in casa propria e qui le strangolava durante i rapporti sessuali. Sopraggiunta la morte fisica della vittima, il Serviatti aveva altri rapporti con il cadavere che in seguito era dissezionato e disperso. I corpi delle tre vittime (una vedova e due cameriere) vennero, infatti, fatti a pezzi e gettati l’uno nel pozzo, l’altro nel Tevere, l’ultimo spedito.

Come abbiamo detto, prima della macabra dissezione, il Serviatti aveva ulteriori rapporti sessuali con il cadavere e, dopo, gli mangiava accanto e, infine, ne sottraeva i beni. Il primo aspetto fortemente anomalo per un criminale solo interessato al guadagno, è la necrofilia. Infatti questa parafilia determina una forte attrazione sessuale verso un cadavere. Il caso Serviatti è, per certi aspetti, anomalo in quanto i soggetti affetti da tale disturbo generalmente non sono affatto mossi da alcun motivo di interesse o di lucro e il fine ultimo delle loro azioni è lo smembramento. Quindi nel “Landru del Tevere” vi era una forte contraddizione determinata dall’omicidio motivato dal mero interesse. Inoltre va tenuto conto che solo in rari casi il necrofilo arriva ad uccidere per procurarsi il cadavere sul quale dare sfogo alla sua perversione. Nella sostanza, quindi, il caso del Serviatti appare contrassegnato da diverse anomalie che determinano una difficoltà nel collocare questo all’interno di una categoria di serial killer necrofili, senza constatare la presenza di alcune peculiarità in contrasto con il modello teorico.

Per Serviatti, quindi, si potrebbe parlare di necrosadismo, cioè la mutilazione e lo scempio di cadaveri con cui si sono avuti rapporti sessuali. In generale, comunque, si tratta di un caso che ha lasciato prive di risposte molte domande degli inquirenti i quali arrivarono addirittura a pensare che implicata negli omicidi fosse addirittura la moglie, perché la meticolosità con cui venivano compiute le azioni parevano poco credibili che appartenessero ad una sola persona, il Serviatti appunto, che appariva uno squilibrato. La donna fu, però, assolta.

Il “Landru del Tevere” può essere qualificato, senza dubbio, quale serial killer organizzato. Si tratta, cioè, di criminali che pianificano i loro delitti, mettendo a punto uno schema nel quale sono scelti con cura il luogo e la vittima. Usano un’arma che non viene mai lasciata sul luogo del delitto e sono capaci di vivere una esistenza normale avendo, in alcuni casi, anche una famiglia e risultando ben inseriti nella società. Il loro comportamento è tale da renderli difficilmente individuabili e, spesso, riescono a perpetrare i loro crimini per un lungo periodo. Amano seguire i commenti dei mass media sulle loro attività criminali e, in alcuni casi, inviano messaggi alle autorità in segno di sfida (classico esempio è quello di Jack lo Squartatore). Sono, solitamente capaci di intendere e volere.

Serviatti fu, infatti, riconosciuto sano di mente e, come tale, giudicato. Egli pianificava con calma ed in modo dettagliato i suoi delitti, scegliendo le vittime con cura ed operava i suoi crimini cercando il più possibile di ridurre ogni rischio. Da un lato era lucido (nel modo in cui sceglieva le vittime, le corteggiava, sceglieva con cura gli strumenti per sezionare il corpo, usava la segatura per assorbire il sangue) dall’altro la follia (necrofilia e necromania).

L’inquietante cacciatore di dote, probabilmente, non si sarebbe mai fermato se un’amica dell’ultima vittima non avesse fatto il suo nome indicandolo come il fidanzato e prossimo marito della donna uccisa. Venne arrestato il 9 dicembre 1932. Prima negò ogni cosa ma, in seguito, confessò i suoi crimini entrando nel dettaglio, con estrema lucidità, sui “trattamenti” che riservava ai cadaveri.  Fu condannato a morte mediante fucilazione che venne eseguita il 13 ottobre 1933.

Dalle testimonianza del Serviatti e dal materiale raccolto, traspare un quadro particolarmente infelice della fanciullezza dell’uomo che rappresenta una costante nei criminali seriali. Privo di genitori, fu allevato da una famiglia contadina. Si racconta che da bambino diceva di voler fare il boia (forse un primo campanello d’allarme della presenza di quella necromania che sfocerà in seguito). Lavorò per un periodo presso il Policlinico dove, con molta probabilità, apprese nozioni di anatomia, ed in seguito come macellaio. Pare si spacciasse per nobile, facendosi chiamare “Conte”. Sulla sua fedina penale risultano alcune condanne per furti e rapine. Durante la confessione, affermò di aver ucciso sette donne anche se solo per tre fu condannato. Il dubbio che possa aver commesso altri delitti prima dei cinquant’anni è più che lecito ma non vi sono elementi per provarlo. L’efferatezza delle pratiche sessuali compiute sui cadaveri e l’atteggiamento criminale dimostrato, lo rendono ben più pericoloso del contemporaneo collega parigino.

Pubblicato da Roberto Loizzo

Avvocato e Criminologo Forense. Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bari “A. Moro”, con tesi di laurea su “Le prove non disciplinate dalla legge: le prove scientifiche”; Criminologo Forense con titolo conseguito presso l’Università Carlo Cattaneo LIUC di Castellanza (VA), con tesi di laurea su “L’abuso sessuale infantile: giurisprudenza e mezzi di contrasto; Lavora nell’ambito penale occupandosi di criminalità e minori; Autore di articoli con analisi criminologica dei fatti di cronaca per le testate giornalistiche Barilive.it e CorrieredellePuglie.com; Docente presso Master Universitario di I e II livello in Criminologia Sociale alla PST BIC di Livorno per a.a. 2011 – 2012; Vice Presidente Associazione Culturale InformAEticaMente Vincitore di Principi Attivi 2012; Presidente Sezione Bari Associazione ONLUS "Sentieri delle Legalità" Per info, contattatemi all’indirizzo mail [email protected]