CRIMINOLOGIA e DIRITTO

SERIAL KILLER: Il mostro di via della Consolata

Torino.ChiesaConsolataL’inverno del 1902 fu particolarmente duro a Torino: gli effetti determinati dalle difficili condizioni atmosferiche furono però poca cosa in confronto alla tragica vicenda del mostro che si aggirava nella popolare area in cui si trova la Chiesa della Consolata. Quello era il cuore antico della città subalpina, gli edifici moderni poggiano sui resti delle vestigia romane dell’importante Augusto Tautinorum, città della provincia romane al limite delle grandi arterie per i valichi alpini.

In quella zona pulsante di commerci ed anche della fede di tanti pellegrini giunti in città per rivolgere una preghiera o domandare una grazia alla Vergine, si diffuse la fobia del mostro. Oggi lo chiameremmo Serial Killer anche se i fatti di sangue furono solo due.
Si racconta che quell’essere malvagio avesse i piedi di animale, si disse simili a quelli di un caprone, sicuramente un elemento fisico per meglio descrivere con tono diabolici quella creatura spregevole che uccideva le bambine. La nomea della città satanica che accompagna Torino di certo non ebbe origine allora ma, evidentemente, vicende come quella del mostro delle bambine non hanno certamente ridotto la pressione mistica che ancora oggi grava sulla città.

Il  primo drammatico episodio risale al 12 gennaio del 1902. Era una domenica mattina e la città era chiusa in un bozzolo di gelo che però non pareva spaventare la piccola Veronica Zucca che giocava da sola in Piazza Paesana (oggi Piazza Savoia) davanti al Caffè Savoia gestito dal padre. Veronica aveva 5 anni e mezzo e si muoveva, come sempre, nello spazio compreso tra il Caffè dei genitori e via della Consolata. Madre e padre non si preoccupavano perché sapevano che la figlia era molto prudente e poi, a distanza di pochi minuti, transitava davanti all’ingresso del bar salutando. Quella mattina, però, le cose andarono in modo molto diverso. La madre, non vedendola, uscì dall’affollato locale e gettò lo sguardo sulla Piazza: Veronica non c’era più!!

In breve tutta la zona fu in allarme ed ognuno favoriva una versione. Qualcuno affermò di aver visto la bambina parlare con un giovane a pochi passi dal Caffè Savoia. La polizia raccolse le voci e, alla fine, fu possibile risalire all’indiziato indicato come una delle ultime persone che parlò con Veronica prima della sua scomparsa. Si trattava di Alfredo Conti, un ragazzo di soli 16 anni, che aveva lavorato per un breve periodo nel locale degli Zucca e finì con l’essere licenziato dopo una lite con il titolare ma prima di andarsene giurò di vendicarsi. Spesso, in questi casi, si tratta solo di parole a cui, quasi mai, fanno seguito i fatti però, vista la piega della vicenda, la posizione del Conti non poteva di certo dirsi tranquilla.

L’indiziato non negò di essersi fermato a parlare con la piccola Veronica, alla quale chiese di andare nel Caffè del padre a cercare un certo Chiaberto e di pregarlo di uscire. Infatti, visto il licenziamento, non osava entrare nel locale ma aveva bisogno di parlare con questa persona per motivi personali.
La ricostruzione, però, apparve poco credibile ed Alfredo Conti venne quindi arrestato ma la sua posizione si fece, via via, sempre più chiara e dopo aver fornito un alibi inattaccabile venne rilasciato.

Il volto ed il nome del mostro continuavano ad essere avvolti nel mistero. Da quel momento a Torino cominciò a serpeggiare la paura del “Mostro di via della Consolata”. L’assenza di notizie se da un lato provocava paura ed angoscia, dall’altro lasciava aperta una speranza ma intanto i mesi passavano e sia i giornali che gran parte dei torinesi si erano dimenticati della scomparsa di Veronica e del mostro.

Nel mese di Aprile di quell’anno, alcuni operai erano impegnati in una serie di interventi di restauro del Palazzo Paesana, situato tra via della Consolata e Piazza Savoia. Uno degli addetti avvertì un odore insopportabile che giungeva dalla parte più profonda delle cantine e, scendendo per andare a controllare, si imbattette in una grossa cassa di legno. Apertala si trovò dinanzi al corpo, oramai scheletrito del tutto, di una bambina. In breve il piccolo cadavere venne identificato come quello di Veronica Zucca. In apparenza la vittima non presentava segni di violenza ma sembrava che fosse stata stordita, infilata nella cassa e fatta morire lì dentro soffocata. La prima impressione, però, fu presto accantonata. L’autopsia, infatti, rivelò che l’assassino si era particolarmente accanito con la giovane, trafiggendola con ben sedici coltellate.

La scoperta fece ripiombare sulla città una cappa di paura e gli inquirenti avevano pochi indizi a loro disposizione. Venne nuovamente arrestato Alfredo Conti ma anche il padre di Veronica. Sul Conti gravano nuove accuse giunte dal figlio più piccolo degli Zucca che riferì di alcuni atteggiamenti sospetti dell’indiziato secondo il quale, una volta, lo avrebbe portato proprio nelle cantine dove venne ritrovata Veronica e gli fu detto <<adesso ti ammazzo e nessuno saprà niente>>. Ancora una volta, però, la vicenda si sgonfiò ed il Conti tornò in libertà.

Se la vide brutta anche Carlo Tosetti, da quarant’anni al servizio del Marchese di Paesana, che venne accusato, non si sa su quali basi, di essere il “mostro di via della Consolata”. Per quasi due mesi rimase in carcere e fu vittima dello sciacallaggio di quei giornalisti che avevano trovato il modo di montare una storia su di lui atta a sbattere il mostro in prima pagina. Alla fine tutto si chiarì e venne rilasciato ma il Tosetti concluse il resto della sua vita in povertà e circondato da una serie di sospetti. La sua avventura fu molto simile a quella che venti anni dopo coinvolgerà Gino Girolimoni, accusato di essere un Serial Killer di bambine.

Dopo la scarcerazione del Tosetti, il mostro scomparve fino al maggio del 1903, quando una nuova e drammatica vicenda travolse Torino. Un’altra bambina, di 5 anni, Teresina Demarca scomparve senza lasciare traccia. Le ricerche iniziarono immediatamente, anche perchè la stretta vicinanza con il luogo precedente al delitto rappresentava un dato molto inquietante che non poteva essere sottovalutato. I primi luoghi ad essere perlustrati furono proprio i vasti scantinati di Palazzo Paesana, dove la piccolina viveva al quarto piano. Fu davvero una fortuna che le indagini partirono proprio da luogo in cui era stato trovato il corpo di Veronica, perché questo permise di salvare la bambina. Teresina venne, infatti, trovata ferita da tre coltellate gravi ma non mortali che permisero di salvare e fare di lei una preziosa testimone. Dalle dichiarazioni della piccola vittima e da quelle dei testimoni, si giunse all’agognata identificazione del mostro. Si trattava di Giovanni Gioli, uno spazzaturaio di 24 anni. Il giovane, messo alle strette, confesso l’omicidio di Veronica e quello tentato della piccola Teresina.

Gli inquirenti compresero subito di trovarsi al cospetto di un malato di mente. Infatti il Gioli raccontò di alcuni sogni deliranti che pose in relazione alle sue condotte omicidiarie. Dalle sue deposizioni si seppe che aveva tentato di uccidere anche altre bambine ma il suo disegno perverso non ebbe seguito.

Il processo contro il “mostro di via della Consolata” iniziò il 14 gennaio del 1904. Gli fu negata l’infermità mentale e fu condannato a 24 anni e 2 mesi di carcere, più 3 anni di vigilanza speciale. Dopo la lettura della sentenza, sorridendo, disse <<Uscirò a quarantotto anni>>. Dopo il suo ingresso nelle carceri Nuove di Torino non si seppe più nulla di lui,.