CRIMINOLOGIA e DIRITTO

SERIAL KILLER: Il “Mostro di Firenze”

mostro-firenzeA volte per comprendere la natura di un serial killer è opportuno iniziare l’analisi dall’arma che ha adottato e, successivamente, dal modo con cui la stessa sia stata utilizzata. Volendo procedere ad una sorta di raccolta di dati statistici possiamo riscontrare che quasi mai è la pistola a dominare, ma un’arma provvista di lama o un corpo contundente. La lama simboleggia ed esprime meglio di altre il senso di possesso che l’assassino ricerca.
Ad osservare i segni lasciati dalle armi sui corpi delle vittime di serial killer, spesso si constata che, dopo i primi colpi inferti in zone vitali (come ad esempio il cuore), i successivi tendono ad essere orientati nelle zone erogene. Emblematico è il caso del “Mostro di Firenze”. La forte componente erotico-sessuale presente in questo tipo di crimine si può evincere anche dalla nudità dei cadaveri. Tale situazione è semplicemente legata al fatto che il serial killer uccide spesso per l’atto del piacere sessuale. Nella sua mente la sessualità si coniuga in modo distorto con l’aggressività e il senso del dominio.
<<Chiunque combatte con i mostri deve fare attenzione a non diventare a sua volta mostro: perché se guarderai a lungo nell’abisso, infine anche l’abisso guarderà in te!>>.È con questa frase di Nietzsche che inizia il libro “Un uomo abbastanza normale. La caccia al mostro di Firenze” di Ruggero Perugini che, dal 1986 al 1992, ha guidato la squadra antimostro per cercare di assicurare alla giustizia il serial killer autore di alcuni efferati omicidi che, dal 1968 al 1985, hanno insanguinato le campagne intorno a Firenze.

Tutte le vittime del "Mostro di Firenze"
Tutte le vittime del “Mostro di Firenze”

Tutto ha inizio il 21 agosto 1968 a Castelletti di Signa. Barbara Locci e Antonio Lo Bianco vengono uccisi con otto colpi di pistola sparati attraverso il finestrino posteriore dell’auto. L’arma è una Beretta calibro 22, che sarà utilizzata per gli altri delitti. Un fatto singolare riguarda la presenza del figlio di sei anni di Barbara Locci che, al momento degli omicidi, dormiva sul sedile posteriore dell’auto e che viene risparmiato dal killer. Pare, addirittura, che dopo le uccisioni trascorra alcune ore con un misterioso personaggio chiamato genericamente “zio”. Dell’omicidio sarà accusato e condannato Stefano, il marito della vittima. Sembrava un delitto passionale in quanto l’uomo, in principio, confessò l’omicidio ma, in seguito, ritrattò accusando del crimine altre persone.
Gli anni passano e la vicenda dimenticata, considerata uno dei fatti di cronaca nera che, dopo lo scalpore iniziale, non è necessario andare a ricordare.
Il 14 settembre 1974, a Borgo San Lorenzo, due fidanzatini Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore sono uccisi con colpi di pistola sparati al finestrino dal lato del guidatore. Lui è colpito da cinque colpi e dieci coltellate; lei riceve quattro colpi e numerosissime coltellate. Il corpo della giovane donna presenterà novantasei ferite da taglio nella zona toracica e pubica, nella vagina è stato introdotto un tralcio di vite. Per quel delitto venne arrestato un uomo perché “guardone” e frequentatore del luogo in cui è avvenuto il delitto: su di lui grava l’accusa di un duplice omicidio.
Pochi mesi dopo, il 22 ottobre 1981, altri due fidanzati, Susanna Cambi e Stefano Baldi, vengono uccisi a Bartoline di Calenzano. Ricorrente il modus operandi: spari dal finestrino di guida, tre colpi e tre pugnalate all’uomo; cinque colpi e due coltellate alla donna che presenta alcune ferite intorno al seno e l’asportazione del pube, tagliato con l’identica modalità adottata per l’omicidio del 6 giugno. Il fatto determina la scarcerazione del “guardone” accusato di essere il Mostro di Firenze.
Il 19 giugno 1982 il serial killer ritorna a colpire.

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Scena del crimine dell’omicidio di Antonella Migliorini e Paolo Mainardi

In località Baccaino di Montespertoli sono uccisi Antonella Migliorini e Paolo Mainardi. Questa volta qualcosa va storto e l’uomo riesce a mettere in moto l’auto e ad innestare la retromarcia. La fuga però è breve ed il mezzo finisce in un fosso. I due vengono uccisi con alcuni colpi di pistola però, forse per la vicinanza alla strada o perché il trambusto ha richiamato alcune persone, l’omicida non riesce a compiere le solite pratiche sul corpo della donna.
A questo punto tra gli inquirenti si va via via affermando la possibile “pista sarda”. Vengono, così, inquisiti vari personaggi di origine sarda, i cui nominativi erano emersi nelle indagini relative al duplice omicidio del 1968. Il 15 agosto 1982 viene arrestato Francesco Vinci che, in un primo tempo, era stato accusato da Stefano Mele di essere stato suo complice, nonché la mente del delitto del 1968. Vinci sarà prosciolto dall’accusa di essere autore dei delitti due anni dopo, il 24 gennaio 1984, ma il mostro nel frattempo era tornato a colpire.
Il 9 settembre 1983, infatti, a Giogoli di Scandicci, vengono uccisi Wilhelm Horst Meyer e Uve Rusch, due giovani tedeschi scambiati probabilmente per la solita coppietta appartata. Le due vittime sono uccise con alcuni colpi di pistola, ma i corpi non presentano alcun tipo di ferita post mortem.
Il 29 luglio 1984, a Vicchio di Mugello, Pia Rontini e Claudio Stefanucci sono vittime del Mostro di Firenze, che questa volta spara attraverso il finestrino anteriore. Il corpo della donna viene trascinato fuori dall’auto e il seno sinistro ed il pube sono asportati.

La scena del crimine dell’omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili,

L’8 settembre 1985 è l’ultima volta (almeno dalle notizie in nostro possesso) che l’assassino colpisce. Una coppia francese in vacanza in Italia, Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili, è uccisa mentre si trova all’interno di una tenda canadese situata in località Scopeti di San Casciano Val di Pesa. L’uomo cerca di fuggire, ma è raggiunto da dodici coltellate, mentre alla donna, uccisa con alcuni colpi di pistola, sono asportati il seno sinistro ed il pube.

Cercare di cogliere gli aspetti salienti della personalità di un Serial killer è sempre un’operazione complessa perché, anche se vi sono peculiarità ricorrenti nei singoli autori, risulta comunque evidente che ogni caso è sostanzialmente contrassegnato da specificità proprie.
Un primo punto in comune è quello di non definire mai questi serial killer dei mostri o dei pazzi. Il loro modo di agire, infatti, richiede spesso una programmazione, dimostrano una notevole capacità di sottrarsi alle indagini, che risulta incompatibile con la malattia mentale. Un altro dato, che ci deriva da studi americani, ci dice che oltre il 50% dei serial killer appartiene alla categoria definita “locale”, pertanto si tratta di criminali che tendono a compiere reati in un’area ristretta, in cui si identificano. Il luogo ha quindi un ruolo importante, come abbiamo avuto modo di comprendere in tutti gli altri temi sui serial killer affrontati in questa nostra serie. Altro elemento che identifica alcuni serial killer è quello di avviare un contatto con degli inquirenti.
Ora, non sappiamo se anche quest’ultimo elemento rientri nella vicenda del “Mostro di Firenze” o se il tutto è frutto di un tentativo di sviare le indagini ma, due giorni dopo il delitto di Vicchio di Mugello, alla procura della Repubblica di Firenze giunse una lettera contenente un frammento di tessuto mammario. Le analisi riveleranno caratteristiche del tutto simili a quelle del campione prelevato dall’ultima vittima del mostro. Qualche giorno dopo ai carabinieri di San Casciano viene recapitata una lettera anonima in cui si consiglia di effettuare alcuni controlli su un personaggio che entra, per la prima volta, in questa macabra storia e che sarà destinato a non uscirne più: Pietro Pacciani.

Pietro Pacciani

Il 19 settembre 1985 i carabinieri eseguono la perquisizione nell’abitazione di Pacciani ma senza trovare nulla di rilevante. Alla Procura, intanto, giungono altre lettere con fotocopie di articoli di giornali ed un dito di guanti da chirurgo, in cui all’interno è contenuto un proiettile calibro 22. Quattro anni dopo la “squadra antimostro”, che si era costituita nel frattempo, dopo aver condotto un’attenta analisi, si concentra completamente sul nome di Pietro Pacciani che il 30 maggio 1987 risultava essere già detenuto perché condannato per violenza carnale ai danni delle due figlie.
Nel 1989 viene definitivamente abbandonata la “pista sarda”, con il conseguente proscioglimento di tutti gli imputati coinvolti.
Nel mese di giugno 1990 Pacciani viene indagato, prima per reato in materia di armi munizioni, successivamente per i duplici omicidi attribuiti al mostro di Firenze.
Vengono disposte nuove perquisizioni a casa Pacciani e queste portano alla scoperta di un foglietto sul quale era annotato il numero di targa di un’auto con accanto la parola “coppia“. All’interno di un sostegno di cemento presente nell’orto di casa, invece, viene trovata una cartuccia per pistola calibro 22. Alcuni giorni dopo, ai carabinieri di San Casciano, giunge un pezzo di una pistola (il carrello) che è anche presente sulla Beretta 22. Il reperto è avvolto all’interno di due strisce di stoffa ed identici pezzi di stoffa (cotone verde con motivi floreali) saranno rinvenuti nella casa di Pacciani in una successiva perquisizione. In varie occasioni, le perquisizioni porteranno al rinvenimento di oggetti compromettenti per l’accusato: un porta sapone ed un blocco da disegno simile a quelli usati dai due tedeschi uccisi; pastelli da disegno, penne, una taglierina di marca tedesca e delle foto di Amsterdam.
Il 16 gennaio 1993 Pacciani viene arrestato a seguito di ordinanza di custodia cautelare emesso dal G.I.P. La vicenda, però, è ancora lontana dalla conclusione perché altri crimini vengono commessi e che permettono di ampliare la visione intorno al mostro di Firenze.

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Il 7 agosto 1993, nei dintorni di Pisa, i corpi di Francesco Vinci e Angelo Vargiu vengono rinvenuti incaprettati e bruciati all’interno del bagagliaio dell’auto del Vinci. Il 19 agosto 1993, a Berberino Val d’Elsa, Milva Malatesta ed il figlio Mirko, di appena tre anni, sono uccisi e poi bruciati nell’auto. Il 28 maggio 1994, a San Mauro di Signa, viene uccisa Milva Mattei ed il suo cadavere, semicarbonizzato, viene rinvenuto nel letto. Di questo delitto viene imputato Giuseppe Scangarella, amico di Pacciani e con cui era stato detenuto in comuni periodi presso il Centro Clinico del Carcere di Solliciano.
Nel novembre del 1994 Pietro Pacciani viene condannato a sette ergastoli.
Un anno dopo ha inizio la cosiddetta “inchiesta bis” che riaffronta la questione relativa ai crimini attribuiti al mostro di Firenze e che sposterà l’attenzione degli inquirenti su nuove figure.
Nel 1996, mentre è appena iniziato il processo a carico di Pacciani davanti alla Corte d’Assise di Appello di Firenze, viene arrestato Marco Vanni, amico di Pacciani, considerato complice del duplice omicidio del 29 luglio 1985.
Il 13 febbraio 1996, la Corte di Assise di Appello assolve Pietro Pacciani di tutti i delitti, annullando la precedente condanna.

Pietro Pacciani, Giancarlo Lotti, Marco Vanni

Il 7 maggio 1996 il capo della squadra mobile, a seguito della conclusione dell’inchiesta bis sul Mostro di Firenze, denuncia alla Procura della Repubblica Pietro Pacciani, Mario Vanni, Giancarlo Lotti, e Giovanni Faggi, per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di più delitti, tra cui omicidi, vilipendio di cadaveri, detenzione e porto illegale di armi e munizioni. La nuova inchiesta vede così indagati i cosiddetti “compagni di merende”. Nel frattempo la Corte di Cassazione revoca la sentenza di assoluzione a Pietro Pacciani.
Il 20 maggio 1997 inizia il nuovo processo; nel mese di dicembre del 1997 la Corte di Assise concede gli arresti domiciliari al Vanni; il 22 febbraio 1998 Pacciani viene trovato morto nella sua abitazione per arresto cardiocircolatorio. La Corte condanna Vanni all’ergastolo e Lotti a trent’anni. I ricorsi confermano la pena di Vanni, mentre quella di Lotti è ridotta a ventisei anni di reclusione.

Si potrebbe pensare che sia tutto finito ma in realtà non è così. Queste nuove sentenze aprono nuovi dubbi, c’è chi pensa che dietro i delitti vi fosse l’attività di un gruppo più organizzato dei “compagni di merende”, i cui intenti erano finalizzati a pratiche sataniche. Altri pensano che il mostro di Firenze fosse una persona sola, altamente organizzata e che, inoltre, non fosse nessuno degli indagati, che sia rimasto ancora libero e che abbia continuato ad uccidere per poi fermarsi perché, probabilmente, morto nel tempo.
È soprattutto la morte di Pietro Pacciani a far nascere diversi dubbi. Il grande accusato, in attesa del processo della Cassazione, viveva solo poiché la moglie si era trasferita. Il suo cadavere fu rinvenuto alle ore le 15:00 del 22 febbraio 1998, nella sua casa di Mercatale di Val di Pesa. Si presentava in modo insolito, con la canottiera sollevata fino al collo, i pantaloni abbassati ed uno straccio, imbevuto di acido, posto all’altezza dell’inguine. In casa non si rinvenne alcuna traccia dell’acido presente sul tessuto. Le finestre erano aperte, malgrado il freddo esterno, le luci erano spente, anche se la morte risaliva alle ore notturne. Il cadavere era appoggiato sulla pancia e, anche se il sangue si coagula nel lato del corpo più vicino al terreno, le macchie ipostatiche sono state rinvenute sulla schiena: ne consegue che il corpo era stato voltato e, forse, trascinato. Lo stesso Pacciani anche nel carcere aveva più volte detto di temere per la propria vita: <<mi vogliono ammazzare>> era quello che aveva scritto su un biglietto, ma a cui nessuno dette peso.

Pietro Pacciani anche nella sua giovinezza aveva compiuto un omicidio. Quando aveva 26 anni, infatti, uccise un uomo che aveva tentato alcune avances con la sua fidanzata, Miranda Bugli, che all’epoca aveva 17 anni. La vittima fu sorpresa mente aveva slacciato la camicetta della ragazza e sfiorato il seno sinistro. Pacciani colpi con diciannove coltellate il rivale e, quindi, gli sfracellò il cranio con una pietra. Immediatamente dopo violentò la povera Miranda. Si tratta di un dato importante considerato il modus operandi del Mostro di Firenze: si pensi all’asportazione del seno sinistro, ai luoghi in cui si verificarono gli omicidi (non lontano dai luoghi frequentati dalla sua fidanzata), al legame morte-violenza sessuale, forse un binomio radicato nella memoria di Pacciani.

Oggi il mistero permane, ci sono molte verità che non si conosceranno mai come ad esempio quella di chi avanzava l’ipotesi che dietro la banda o al singolo serial killer delle coppie vi fosse qualcuno che commissionava questi delitti e che decise di eliminare testimoni scomodi. Proprio su questo punto ritorna la grande domanda: l’accusato principale è morto di infarto o è stato avvelenato? Chi ha parlato di pista satanica, come motivo per commettere questi efferati omicidi, ha avuto ragione o era semplicemente un modo per rendere ancora più marcata questa vicenda?

I diversi documenti ufficiali, articoli, libri ed interviste presenti sulla storia del “Mostro di Firenze”, e che ho avuto modo di leggere, permettono di fornire un quadro ben più complesso ed articolato di una storia di serial killer, costituita spesso da folli motivazioni omicide, da solitudini, da persone che possono essere poste in relazione al regista principale degli omicidi seriali compiuti lontano da occhi indiscreti. Qui le cose sono molto diverse: presunti indizi, pittori autori di tele con donne mutilate, gente che avrebbe richiesto parti anatomiche per riti, misteriose visite a casa Pacciani, villa isolata nella campagna toscana in cui si sarebbero svolte messe nere. Molte tracce si sono rivelate prive di fondamento e continuano ad alimentare gli enigmi che circondano il “Mostro di Firenze”, offrendo, di tanto in tanto, qualche squarcio di luce. Una luce che forse non riuscirà mai a dissipare l’eco di dolore prodotto dall’abisso aperto il 21 agosto 1968 a Castelletti di Signa, in una notte senza luna.

Pubblicato da Roberto Loizzo

Avvocato e Criminologo Forense. Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bari “A. Moro”, con tesi di laurea su “Le prove non disciplinate dalla legge: le prove scientifiche”; Criminologo Forense con titolo conseguito presso l’Università Carlo Cattaneo LIUC di Castellanza (VA), con tesi di laurea su “L’abuso sessuale infantile: giurisprudenza e mezzi di contrasto; Lavora nell’ambito penale occupandosi di criminalità e minori; Autore di articoli con analisi criminologica dei fatti di cronaca per le testate giornalistiche Barilive.it e CorrieredellePuglie.com; Docente presso Master Universitario di I e II livello in Criminologia Sociale alla PST BIC di Livorno per a.a. 2011 – 2012; Vice Presidente Associazione Culturale InformAEticaMente Vincitore di Principi Attivi 2012; Presidente Sezione Bari Associazione ONLUS "Sentieri delle Legalità" Per info, contattatemi all’indirizzo mail [email protected]

4 Risposte a “SERIAL KILLER: Il “Mostro di Firenze””

  1. Pensare che i mostri di firenze siano stati pacciani e quegli altri due cuoglioni e’ da imbecilli.

  2. All’epoca ero un investigatore privato e feci una mia ricostruzione su chi poteva essere il mostro, persona con difetto fisico che non riesce e non e mai riuscito a conquistare una donna e secondo la mia idea e nessuno me lo togliera’ mai dalla mente a partecipato alla ricerca della pistola gettata se non ricordo male nel torrente da mele ,insomma secondo la mia opinione qualcuno ha trovato la pistola o addirittura ha visto dove e’ stata gettata ha conservato l’arma per anni e ha iniziato a colpire nel 74 per rievocare un evento a lui caro.

  3. Nella didascalia scrivi “tutte le vittime del mostro” ma ne dimentichi una nelle foto.

    Passi dal 1974 al 1981 parlando di mesi e saltando a pie’ pari il primo omicidio del 1981.
    Questi sono solo 2 esempi sui tanti errori che hai commesso nel tuo breve sunto.

    Ricostruzione che chiamare approssimativa e’ un eufemismo.

  4. L’autore dei duplici omicidi era il fratellastro del procuratore Vigna. Il mese di novembre del 1985 venne internato presso l’ospedale psichiatrico di S.Salvi a Firenze, mori’ dopo una decina di giorni. La sua tomba si trova nel cimitero di trespiano, vicino a quella di un soldato.

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