CRIMINOLOGIA e DIRITTO

I SERIAL KILLER: Il vampiro che strangolava le donne

verzeniCentotrent’anni fa, Vincenzo Verzeni veniva arrestato per alcuni crimini mostruosi che fanno di questo giovane di Bottanuco uno tra i primi serial killer italiani. Anche se in precedenza non mancarono (come abbiamo visto nei due precedenti articoli) omicidi violenti e brutali, quello di Verzeni è il primo crimine che venne studiato scientificamente perchè non determinato da alcuna apparente motivazione ma solo da una folle ricerca della sofferenza delle vittime.

Nato l’11 aprile 1849, Verzeni iniziò a colpire, senza fare gravi danni, tra i diciotto ed i diciannove anni. La prima vittima fu sua cugina, Marianna Verzeni, aggredita quando, dodicenne, era a letto malata ed abitava al piano superiore della casa in cui viveva il futuro omicida. Dopo di lei, seguirono altre donne del suo paese: Barbara Bravi, Margherita Esposito e Maria Previtali.

Dagli atti processuali si apprendono alcune informazioni relative al tentato strangolamento di Margherita Esposito: <<da lui afferrata pel collo con ambo le mani e rovesciatala mentre le comprimeva il ventre con un ginocchio. Una lunga lotta dell’energica donna la salvò da morte sicura. Questi fatti avvennero sul finire del 1869>>. In tutti questi casi si parla genericamente di “aggressione” senza specificare alcune motivazione: evidentemente, sino ad allora, le azioni del giovane Vincenzo non suscitarono eccessiva preoccupazione.

Nel dicembre del 1870, Vincenzo Verzeni uccise Giovanna Motta a Bottanuco. Movente ed assassino non vennero scoperti sino a nove anni più tardi quando il killer seriale uccise Elisabetta Pagnoncelli. In occasione dell’istruttoria vennero fuori i ben più gravi crimini che il Verzeni non nascose, dichiarandosi colpevole e chiedendo di restare in carcere al fine di evitare di uccidere ancora. Egli, infatti, dichiarò di non riuscire a contenere la sua irrefrenabile voglia di strangolare ma, al Verzeni non bastava solo uccidere. Basta infatti leggere gli atti di accusa, in cui sono indicate le azioni che commetteva sui cadaveri, per poter comprendere come il soprannome di “vampiro della Bergamasca” non fosse casuale.

Per quanto riguarda Giovanna Motta, apprendiamo dalla descrizione del Lombroso che <<l’infelice giovinetta ivi giaceva sul terreno affatto nuda, avendo soltanto coperta da calza la gamba sinistra e del di lei corpo erasi fatto il più miserabile scempio. Deformato da moltitudine di ferite, quasi spaccato nel mezzo pel lungo; mancante di alcune parte ed in specie di visceri. Questi erano stati nel dì precedente trovati entro il cavo di un gelso di Battista Mazza […] E’ singolare inoltre a notarsi su di un sasso presso il cadavere, scorgevasi dieci spilli […] Vieppiù che le si trovò piena di terra la bocca. Così pure, per la mancanza degli organi sessuali, non fu possibile constatare se della fanciulla siasi abusato>>. Elisabetta Pagnoncelli invece <<mostrava alla regione del collo una echimosi lunga 26 centimetri e larga 1 con la lacerazione e depressione della cute prodotta dallo stringimento di una corda rinvenuta sul luogo dello stesso, che le deve essere stata gittata ad uso laccio, causando l’altra echimosi riscontrata sotto la mammella destra […] si rilevarono ampie ferite al braccio destro, alla regione lombare, alla nuca, nel ventre, dalla qual ultima usciron fuori gli intestini ed il ventricolo recisi […] recisi da un falcetto. Nel dorso le si trovarono tre spilli>>.

Singolare è il rituale degli spilli di cui l’omicida, però, non saprà mai fornire concrete spiegazioni atte a chiarirne lo strano utilizzo, senza dubbio simbolico. Sulle pratiche violente, invece, il Verzeni, fu molto chiaro e fornì importanti indicazioni. Disse <<io ho veramente ucciso quelle donne e tentato di strangolare le altre, perchè provavo in quell’atto un immenso piacere, in quando appena mettevo le mani addosso sul collo provavo un gran gusto. La prima (la cugina n.d.r.) non la strozzai del tutto perchè il piacere lo gustai subito appena toccatole il collo; per la stessa ragione restarono salve le cinque altre assalite; invece le due restarono soffocate perchè il piacere tardava a manifestarsi le stringevo sempre più ed esse morirono. Le graffiature che si trovavano sulle cosce non erano prodotte colle unghie ma con i denti perchè io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con che godei tantissimo[…] Io non ho mai pensato a toccare le parti sessuali, ma mi limitavo a stringere il collo ed a succhiare il sangue>>.

Strangolamento ed assunzione di sangue, erano questi i due momenti cruciali per il Verzeni, quelli che determinavano il suo “gran gusto”, raggiunto immediatamente con le altre cinque donne che non furono uccise. Secondo Cesare Lombroso, questo serial killer era un sadico sessuale e divoratore di carne umana ma non era un malato di mente poichè quando commetteva i delitti era perfettamente lucido pur essendo offuscato da una anomala eccitazione.

Percorrendo le pagine del dibattimento, ci si trova avvolti in una selva di accuse e di pronti interventi della difesa che cercò di dimostrare, se non l’innocenza del Verzeni, per lo meno la sua infermità mentale e l’ingiusta attribuzione di alcune aggressioni precedenti gli omicidi. Le parole della difesa del Verzeni servirono certamente a determinare numerose perplessità nella giuria tanto che il “vampiro della Bergamasca” scampò alla pena di morte per un solo voto e continuò la sua esistenza in carcere dove morì suicida con i suoi ricordi fatti di violenza e di sangue e, soprattutto, con i suoi segreti che nessun perito è riuscito a far emergere dall’abisso oscuro della sua ragione. Scriveva Lombroso: <<d’ingegno l’accusato ne dimostra più che non il comune dei delinquenti. Benchè solitario e taciturno, nessuno ha mai affibbiato a lui, nè ai suoi, quegli epiteti di “matto” o “strambo”, che con tanta facilità il mondo appiccica a chiunque paia inclinato alla pazzia. Nè ha sofferto di cefalee e vertigini. Tace e parla a proposito, inventa menzogne da uomo provetto. Combina misfatti con arte tanto che passano mesi ed anni prima di scoprirne l’autore; studia lo strumento ed il metodo più adatto per colpire ciascuna vittima>>.

Il caso Verzeni ebbe una notevole ricaduta sull’opinione pubblica non tanto per l’efferatezza dei suoi crimini, tragedie del genere si sono verificate in varie epoche e la gente ben sapeva che da qualche parte si celano mostri pronti a colpire, ma soprattutto per la forte eco ottenuta tra gli scienziati. Infatti, per la prima volta, un criminale che in tempi a noi più vicini sarà chiamato Serial Killer, cominciava ad essere studiato non come fenomeno unico, ma come portatore di anomalie che potevano essere rivelate anche in altri uomini. La storia della moderna criminologia stava incominciando.